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La lunga storia del baobab di Chapman

Il baobab del Botswana

Chi ha avuto la fortuna di vedere il baobab di Chapman se lo ricorda e lo porta nel cuore. Era uno dei monumenti spontanei più spettacolari dell’Africa Australe, ovvero il più vecchio e grande albero di baobab del mondo. Si stagliava sulla pianura come un faro nel mare, ai bordi del Kalahari, nella sterminata Piana di Makgadikgadi, nella regione periodicamente desertica del Botswana.

Almeno due millenni di vita

Da sempre era il punto di riferimento geografico per mercanti, carovane ed esploratori, compresi Stanley e Livingstone che si dice abbiano riposato più volte all’ombra di questo gigante. E poi i turisti, tanti avvinghiati al suo tronco per le foto di rito, durante i giri turistici che puntualmente finivano con un saluto al vecchio amico. L’albero aveva un’età intermedia tra i 1000 e i 3000 anni, misurava cinquanta metri di circonferenza e si estendeva lungo sette rami principali grandi come piloni dell’autostrada.

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Inconfondibile

Persino dai finestrini di un Cessna era impossibile non vederlo. Era alto una quindicina di metri ma era largo come un condominio. Era un prodigio biologico di consumi e risparmi. Poteva perdere fino a 12.000 litri d’acqua in 12 ore attraverso la traspirazione delle foglie, ma poteva anche decidere, in mancanza di acqua, di far morire e cadere tutte le fronde nel giro di una notte, salvando dalla sete il tronco e i rami principali.

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La fine di un amico

Il 7 gennaio 2016, senza una causa apparente, il baobab di Chapman si è diviso a metà ed è caduto sul terreno, lasciando esposte al sole le grandi cavità, utilizzate per millenni come tane da una grande varietà di animali, dalle piccole civette ai leopardi. Subito sono accorsi esperti botanici nel tentativo di rianimare il gigante senza però alcun risultato. Cavo e esanime ha salutato il mondo, dopo una lunghissima e tranquilla vita.

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Ciao, vecchio gigante amico

Posso solo immaginare il rumore, l’urlo disperato dello strappo del legno ed il fragore di quel grande peso contro il terreno secco. Riesco a sentire il tonfo accompagnato dalla nuvola di polvere che, nel silenzio si posa nuovamente sulla corteccia millenaria. E per chi lo conosceva è stato come perdere un amico, un vecchio e gigante amico.

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